Il desiderio di poter fare qualcosa

Il desiderio di poter fare qualcosa

Nell’estate del 2016 mi è stato proposto di partecipare a un viaggio missionario in Brasile che si sarebbe tenuto l’anno seguente. Nonostante avessi solo 18 anni mi rendevo conto di portare con me il desiderio di poter andare a conoscere una realtà completamente diversa dalla mia, sicuramente meno fortunata, e di potermi mettere a loro disposizione. Si è creato un gruppo per lo più di giovani, siamo diventati amici, e abbiamo lavorato insieme per poter abbattere almeno in parte il costo del biglietto per l’America Latina. La preparazione non è stata facile: organizzare un viaggio dall’altra parte del mondo non è facile, in più se ci si trova in paesi poco sicuri, ma eravamo in buone mani. Ci siamo affidati a Don Gabriele, il prete che ci avrebbe accolto come ospiti ad agosto del 2017. Noi non sapevamo bene cosa aspettarci, ma ci siamo fidati di lui e ci siamo messi completamente a sua disposizione. In Brasile abbiamo conosciuto persone meravigliose che ci hanno accolto in ogni posto come se fossimo parte della loro famiglia. Abbiamo conosciuto molte comunità, abbiamo visto come vivevano e, al nostro ritorno, ci siamo impegnati in attività di autofinanziamento per poter permettere la realizzazione di alcuni loro piccoli progetti. Un esempio è l’acquisto del materiale necessario per costruire un riparo nel giardino di un orfanotrofio per permettere ai bambini di giocare all’aperto.

L’esperienza che più mi ha scosso è stata la visita al carcere A.P.A.C. (Associazione per la protezione e l’assistenza ai condannati), ospiti di Suor Cristina, originaria dell’Argentina. Il metodo APAC mette al primo posto l’essere umano e ha l’obbiettivo di aiutare a riformulare l’auto immagine di chi ha sbagliato, chiamandolo per nome, conoscendo la sua storia, interessandosi della sua vita, dei suoi sogni, del suo futuro. Normalmente nelle carceri brasiliane questo non avviene, le condizioni in cui vengono fatti vivere i condannati sono pessime tanto da costringere i carcerati ad uccidersi tra di loro per farsi spazio all’interno della cella. Suor Cristina ci ha raccontato qualcosa in più sulla società della regione del Maranhao, di cui Viana, paese in cui eravamo ospiti, faceva parte. Il Maranhao è lo stato più povero del Brasile e purtroppo ci si scontra ancora con episodi di razzismo. Ci è stato raccontato che per fare la domanda per l’iscrizione all’università viene chiesto di segnare il colore della propria pelle: bianca, mulata, nera. Tutto ciò nel 2019 è inammissibile.

 

L’anno seguente siamo stati ospiti di Don Franco in Kenia, a Nanyuki. Dopo il primo viaggio eravamo un po’ più tranquilli perché sapevamo che non dovevamo fare troppi piani, perché anche se non sapevamo dove saremmo arrivati, Don Franco avrebbe pensato a noi, e così è stato.

Ancora una volta ho ricevuto il regalo di poter andare in una missione: ho capito che per fare un viaggio di questo tipo bisogna affidarsi a chi vive in quel posto. Noi non sapevamo cosa potesse servire a Nanyuki, forse potevamo immaginarlo, ma è necessaria un’esperienza diretta.

Sono stata colpita dalla necessità di affetto che hanno mostrato i bambini africani nei nostri confronti. Loro volevano essere abbracciati ed erano felici di giocare con noi, quella era la cosa migliore che potevamo fare. Ci è stato spiegato che la struttura familiare non è molto solida: i genitori hanno molti figli e spesso obbligano i bambini a fare l’elemosina, a lavorare e a badare ai fratelli più piccoli. Abbiamo incontrato bambini di 5/6 anni che badavano ai fratelli di pochi mesi.

Una volta tornati a casa il desiderio di poter fare qualcosa per le persone meno fortunate di noi non ci ha abbandonato, e anzi, stiamo lavorando per far crescere la nostra associazione e poter avviare dei progetti più grandi.

Questi viaggi per me rappresentano solo l’inizio. Ognuno di noi, nonostante lo studio e il lavoro, si impegna per dare una mano come può nella realizzazione di progetti più grandi. Un sogno è l’apertura di un carcere A.P.A.C. femminile.

Luisa Puddu

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